Nel 1882, solo sei anni dopo il “concepimento” del ciclo Otto, l’ingegnere britannico James Atkinson cercò di migliorarne il rendimento termodinamico rinunciando a un po’ di potenza per bruciare meno benzina. Il suo brevetto prevedeva di aggiungere all’albero motore un particolare cinematismo (dalla geometria piuttosto complicata) per ottenere una fase di compressione più breve rispetto a quella d’espansione (mentre – ricordiamo – nel ciclo Otto le citate fasi sono uguali).
Si trattava, insomma, di progetto piuttosto complesso, che cadde presto nel dimenticatoio. Quasi un secolo più tardi (nel 1957), l’ingegnere statunitense Ralph Miller perfezionò l’idea di Atkinson riproducendone il ciclo con un imbiellaggio convenzionale, e ottenendo risultati analoghi intervenendo solo sulla fasatura delle valvole di aspirazione.
Immolano qualche cavallo sull’ara dell’efficienza
Dunque, i due sistemi si possono considerare coincidenti, anche se è giusto ricordare che, in realtà, oggi è il Ciclo Miller a essere effettivamente utilizzato (peraltro, con ancora maggior profitto nei motori sovralimentati).
Come nell’Atkinson, il rapporto di espansione (che resta invariato) risulta maggiore del rapporto di compressione, modificato tramite il variatore di fase dell’albero a camme anticipando la chiusura delle valvole durante l’aspirazione, oppure ritardandola (nello specifico del 25-30%) durante la fase di compressione.
In entrambi i casi, si ottiene la riduzione del riempimento del cilindro e quindi del rapporto volumetrico di compressione, pur mantenendo inalterata la corsa. Così, nella prima fase della risalita, il pistone non spreca energia per comprimere la miscela aria-benzina perché la spinge fuori dal cilindro, nel condotto d’aspirazione, da dove verrà “recuperata” nei 360° successivi.
Con l’ibrido compone un tandem davvero efficiente
Il Ciclo Atkinson-Miller è stato riscoperto a partire dalla metà dagli anni 90 sia in virtù della crescente attenzione ai consumi (dovuta anche all’escalation dei prezzi dei carburanti) sia, soprattutto, per l’avvento delle auto ibride (la Toyota ha iniziato a usare questi propulsori già per la Prius del 1997).
A ben guardare, infatti, i propulsori che seguono tale Ciclo risultano i partner ideali per lavorare in sinergia coi motori a batteria: il loro minor vigore ai bassi regimi viene compensato dalla prontissima risposta delle unità elettriche, mentre in città il loro superiore rendimento accentua l’intrinseca efficienza dei sistemi ibridi.